Grazie alla “messa in prova” e alla “sospensione della pena” di rado scatta la detenzione. Anche nei casi più gravi. E non sempre le multe fungono da deterrente. Per le associazioni animaliste le leggi andrebbero aggiornate
Le pene per chi maltratta gli animali sono troppo blande? Un paio di giorni fa il tribunale di Piacenza ha condannato al pagamento di una multa di 20mila euro un uomo che aveva preso a calci la sua cagnolina fino a causarne la morte. 20mila euro non sono pochi. Ma la legge oggi riesce a esercitare una deterrenza verso questo tipo di reati? Nell’articolo 544 bis del codice penale è messo nero su bianco che chiunque provochi la morte di un animale “per crudeltà o senza necessità” è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni”. Il reato di maltrattamenti è invece disciplinato dal 544 ter che così recita: “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale”, oppure “lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro”.
Dopo la sentenza del tribunale di Piacenza, pur esprimendo soddisfazione per la decisione del giudice, l’Oipa (Organizzazione internazionale protezione animali) ha fatto subito notare che qualcosa non va: “I reati contro gli animali sono puniti con pene troppo esigue e nessuno finisce in carcere, neanche per i casi più gravi: le sanzioni vanno inasprite, affinché siano un vero deterrente contro il loro maltrattamento”. Insomma, le multe possano essere salate per gli animalisti c’è bisogno di uno scatto in più. E in effetti, spiegano ancora dall’associazione, “le nostre guardie zoofile ricevono continuamente segnalazioni di maltrattamento, soprattutto per la cattiva detenzione”. Ma perché l’attuale legge non funziona? Claudia Taccani, avvocato responsabile dello sportello legale Oipa e portavoce del presidente Massimo Comparotto, ci ha confermato che in molti casi oggi l’imputato riesce ad evitare la detenzione e che l’Oipa, nell’ottica di aumentare le pene, ha partecipato ai lavori per la modifica del codice penale affinché i reati contro chi maltratta gli animali siano puniti più duramente.
Cosa non funziona con le leggi oggi in vigore
Il limite della legislazione oggi in vigore, se vogliamo definirlo un limite, è che con le attuali pene detentive molto spesso gli imputati riescono ad “approfittare” di istituti previsti dal codice di procedura penale quali la così detta “messa in prova” o la “sospensione condizionale della pena”. Nel primo caso, “per reati di minore allarme sociale”, l’imputato può ottenere la sospensione del procedimento penale a patto di svolgere lavori di pubblica utilità e impegnarsi a risarcire il danno; la sospensione condizionale della pena, anche questa prevista per reati non eccessivamente gravi, permette invece di “sospendere” la pena per cinque anni a condizione che nel frattempo il reo non finisca di nuovo di fronte ad un giustizia. Nel caso poi dell’articolo 544 ter è lo stesso codice penale che lascia al giudice la possibilità di scegliere se infliggere una pena detentiva o pecunaria. Insomma, per farla breve molto spesso l’imputato se la cava con poco, anche nei casi più gravi.
Animali maltrattati: la proposta per inasprire le pene
Qualcosa forse potrebbe cambiare con una proposta di legge a firma di Gianluca Perilli e Alessandra Maiorino (entrambi del M5s) depositata in commissione Giustizia del Senato, con la quale si vorrebbe rafforzare la tutela giuridica degli animali sotto vari profili. Nel testo si fa presente che i procedimenti per reati a danno degli animali sono tutt’altro che in calo e che oggi gli animali non sono adeguatamente tutelati, “sia in ragione della esiguità delle pene previste per i reati” in loro danni, sia per “l’inesistenza di qualsivoglia forma di controllo da partedelle forze dell’ordine sul fenomeno”. Tra le altre cose la legge si propone di modificare l’art. 544 bis portando la pena da uno a cinque anni a cui si aggiungerebbe per il colpevole una multa da 5.000 a 50.000 euro. Per quanto riguarda il maltrattamento la pena potrebbe invece variare da un minimo di tre mesi ad un massimo di tre anni. Anche in questo caso il reo dovrebbe pagare anche una multa (che però dovrà essere comminata in aggiunta e non in sostituzione della pena detentiva). Se ne discuterà? Gli animalisti ci sperano.
Certo è che qualcosa dovrebbe esser fatto. Secondo il rapporto Zoomafia 2020 della Lav (Lega Anti Vivisezione) in Italia si aprono 26 fascicoli al giorno per reati contro gli animali, uno ogni 55 minuti, ma pochi di questi crimini vengono puniti. Nel dettaglio il reato più contestato è quello di maltrattamento di animali (36% dei casi totali), seguito dall’uccisione (32,10%), mentre sono in aumento le denunce per il traffico di cuccioli importati illegalmente dai Paesi dell’Est. E c’è di più: secondo l’associazione i processi celebrati che arrivano a sentenza sono poco più del 20% del totale, ma solo la metà di questi, il 43,7%, si concludono con sentenza di condanna.
dal web
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