Nei mesi in cui il Coronavirus sta presentando il suo triste conto al genere umano, gli animali domestici hanno a che fare con un “virus” più difficile da individuare ma altrettanto ostico da debellare: l’abbandono.
È un dato di fatto che la pandemia di Covid-19 abbia portato a un triste record di abbandoni di animali domestici; purtroppo i dati parlano chiaro, per limitarci alla sola situazione italiana e ad un unico esempio, i canili monitorati dall’AIDAA (Associazione Italiana Difesa Animali e Ambiente) hanno registrato un incremento del 30% degli ingressi (cani e altri animali) nel periodo compreso tra il 20 febbraio e l’8 marzo. Proprio quando l’epidemia si stava facendo largo in Italia.
Quello dell’abbandono degli animali domestici è un problema multifattoriale e certamente non intendiamo esaurirne la complessità nello spazio di questo breve articolo. Ciò che ci preme è puntare i riflettori su quegli abbandoni o rinunce di proprietà correlati alla situazione di emergenza sanitaria che ha colpito tutti i paesi del mondo nel corso di questa prima metà del 2020.
All’inizio della pandemia, quando ancora le informazioni riguardo al virus erano poche – e soprattutto poco chiare – c’è stata un’impennata di interesse nei confronti della possibile trasmissione di questo particolare coronavirus dagli animali domestici all’uomo.
La questione è stata prontamente chiarita a livello globale e nazionale: cani, gatti e altri animali domestici non possono trasmettere SARS-CoV-2 ai loro compagni umani. Al momento sono solo 4 i casi di infezione animale documentata in tutto il mondo, tre a Hong Kong e uno in Belgio; in tutti e 4 i casi, cani e gatti sono stati infettati dai padroni affetti da Covid, non il contrario.
Ciò però non ha evitato che anche in Italia molte persone decidessero di rinunciare alla proprietà dell’animale domestico, consegnandolo al canile di zona; nei casi peggiori, abbandonandolo direttamente in strada.
Un animale abbandonato subisce un trauma emotivo e psicologico difficile da superare. Anche nel fortunatissimo caso di una seconda chance di vita in famiglia, il trauma lascia ferite emotive e comportamentali per tutta la vita.
Nella maggior parte dei casi però, abbandonare per strada un animale equivale a condannarlo a morte certa. Inoltre, il randagismo è direttamente correlato a un aumento della diffusione di zoonosi (malattie capaci di passare dall’animale all’uomo) e dunque rappresenta a tutti gli effetti un pericolo per la salute pubblica.
Con le nostre scelte possiamo fare la differenza. La paura, si sa, è una cattiva consigliera: agire sull’onda emotiva del timore di un contagio che nei fatti mai avverrà, può paradossalmente portare ad aumentare le possibilità che circolino nella società malattie che sicuramente possono fare il salto di specie da cane o gatto a uomo. Come la rabbia, la toxoplasmosi, la malattia da graffio di gatto e la tigna, per citarne alcune.
Scegliere di avere un compagno di vita animale, qualunque esso sia, è un atto di responsabilità: nei confronti dell’animale domestico e, anche, della società civile. Può purtroppo capitare di trovarsi nelle condizioni di non poter più far fronte all’impegno preso quando si porta a casa un cucciolo: in questo sfortunato caso esistono diverse “vie di uscita” che permettono a uomo e animale di separare i propri percorsi in maniera corretta, lecita e rispettosa per l’animale.
L’abbandono non è mai una via di uscita. Né un scelta. È una pratica non degna di un essere umano come l’uomo, che è stato capace, migliaia di anni fa, di addomesticare animali straordinari quali il gatto e il cane, stringere con loro un patto d’amicizia e ricavarne reciproci vantaggi.
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Dal web
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